Mio padre Quasimodo poeta senza compromessi
Parla il figlio Alessandro, attore e regista
Nell'era dei mass-media e delle comunicazioni mediate non è raro incontrare figli d'arte. Ma quando si tratta di poesia e l'artista cui l'intimo legame di paternità rimanda è l'illustre poeta Salvatore Quasimodo (1901-1968), ecco allora che l'incontro diventa un'esperienza fuori dal comune. Tanto più che nel caso dell'attore e registra teatrale Alessandro Quasimodo, sabato scorso al teatro comunale di Erbusco per presentare un récital in omaggio a Umberto Saba (da una selezione di poesie sull'autore triestino inserite nel volume curato da Rina Gambini e Sara Cordone «Le donne di Saba», Le Edizioni il Porticciolo), l'aura paterna si manifesta in modo evidente, nella continuità dello spirito con l'impegno civile che ha caratterizzato l'attività poetica di Salvatore Quasimodo nel Novecento e che rivive oggi in una serie di spettacoli ed iniziative didattiche itineranti sulle tracce dei grandi scrittori italiani
*Con un padre come il suo, difficile non interessarsi alla poesia...
Naturalmente è mio padre che ha incominciato ad appassionarmi all'idea di teatro-poesia. I versi che recito non sono mai scelti casualmente, ma vanno da un punto ad un altro, su alcune tematiche ben precise: voglio che gli autori parlino attraverso ciò che hanno scritto. Questo è un modo per far passare il nesso fra uomo e poeta.
*Perchè un récital su Umberto Saba?
L'idea è nata nel 2007, a cinquant'anni dalla sua morte, dato che in Italia bisogna sempre aspettare questo tipo di ricorrenze per celebrare i poeti. Rileggendo le opere di Umberto Saba ho potuto apprezzare la freschezza interiore; una freschezza che l'ha salvato, consentendogli di trasformare il disagio e l'infelicità in poesia.
*Com'era invece il rapporto con suo padre?
Non è facile parlarne. Diversamente da quanto si possa immaginare, i poeti sono persone talmente intente ad ascoltare se stessi che non sempre prestano attenzione ai loro cari.
*«Ma l'uomo grida dovunque la sorte d'una patria / Più nessuno mi porterà nel Sud»: in questi versi (da «Lamento per il Sud») Salvatore Quasimodo sembra prendere le distanze dalle proprie radici. Lei che è nato a Milano (nel 1939) ha cercato di mantenere un legame con la terra natia di suo padre?
Sì, certo. Una parte di me è là. Avverto un richiamo irresistibile di città, di luoghi, dall'isola di Ortigia (Siracusa) a Roccalumera (Messina). L'uomo, ovunque si trovi, e questo vale anche per mio padre, non dimentica mai realmente le proprie origini.
*Quale aspetto vorrebbe che fosse ricordato oggi del Quasimodo uomo e poeta?
La coerenza a certi ideali. Nonostante il suo marasma vitale, nonostante le sue ombre, mio padre non è mai sceso a compromessi. Mai.
*Quest'anno ricorre il cinquantesimo dal conferimento del premio Nobel alla letteratura a Salvatore Quasimodo. Come vive questo anniversario?
Sono convinto che mio padre sia stato l'unico poeta civile del dopoguerra. Dallo scorso gennaio sono disponibili alla consultazione i verbali dell'Accademia svedese del 1959. In queste carte, studiate dal prof.Enrico Tiozzo, Salvatore Quasimodo viene definito «il più grande poeta italiano del Novecento» e la sua opera «monumentale». Sono contento che, a cinquant'anni di distanza, ci sia finalmente la possibilità di mettere a tacere le polemiche che accompagnarano all'epoca l'assegnazione del Nobel.
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